mercoledì 15 maggio 2013

non è così che si fa partecipazione - Seconda parte dell'intervista con Flavio Ronzi

Seconda parte dell'intervista con Flavio Ronzi  Presidente del Comitato provinciale di Roma


(Leggi la prima parte)

Cosa pensi riguardo al fatto che il solo rappresentante dei soci all'assemblea dei soci sia il solo presidente e non, come in passato, un numero proporzionale ai soci delegati  appositamente scelti per proporre le strategie a livello nazionale?

Il presidente è espressione della volontà politica dei dei soci, per "governare" si avvale di collaboratori tecnici.
Il problema principale , secondo me non risiede nel fatto che sia il presidente a rappresentare i soci bensì il problema risiede nel concetto di "una testa un voto" per cui il presidente di un comitato con dieci soci ha il medesimo peso in assemblea di un presidente di un comitato con molti più soci.

E' impensabile che chi rappresenta 10 soci possa avare lo stesso stesso  tipo di mandato di chi ne rappresenta mille, ma soprattutto non è pensabile che in consessi così ampi si possa prendere decisioni in modo davvero democratico e partecipativo.

Non è possibile per un problema di numeri, di capacità di gestire un'assemblea di così tante persone?

Ci sono due aspetti, un conto è sul "votare" nel quale non ci sono grandi problematiche, l'altro è sulla partecipazione e la discussione: quando il numero è tale da non permettere la partecipazione attiva e il lavoro di gruppo significa che poi l'assemblea, di fatto, è una sola forma di plebiscito, un gruppo di persone che votano in massa senza alcun apporto individuale.
In questa condizione tanto vale applicare il voto elettronico di tutti i soci, (provocatoriamente parlando).

Flavio cosa proponi per ridurre questo fenomeno?
La norma già esiste e non sono io che faccio le norme. in questa fase non reputo opportuno discutere su una legge che dal governo italiano; in qualche modo mi adeguo.
Però adeguarsi ad un sistema comune non significa non trovarne i difetti; il discorso si fa ampio:  infatti  potrebbe valere anche sulla bicamerale, sul potere dei sindaci in Italia e così via.

Le assemblee non discutono e i soci non sono abituati oggi a essere interpellati e a confrontarsi può essere sintesi di quanto dici?
Si,  l'impressione è che queste assemblee siano dei trucchi, degli artifici.
A mio avviso, siamo senza una cultura democratica e partecipativa a tutti i livelli con dei modelli partecipativi reali.
Modelli reali  che non credo si possa affermare esistano solo perchè è uscita una legge che afferma "oggi siamo diversi".
Si rischia molto spesso,  laddove la partecipazione non è una cultura, ma solamente un tentativo, di comportarsi come le "grandi democrazie": più il mandato democratico diventa forte tanto più diventa totalitario.
Quando la partecipazione alla democrazia è di massa e non è qualificata, formata ed informata adeguatamente questa rischia di divenire uno strumento ancora peggiore del totalitarismo
Questo perchè in qualche modo "arma" chi  decide del potere democratico, 
Purtroppo si sente dire in assemblea "io parlo per 1400 soci" quando poi il 90%  dei 2500 soci non sanno neppure che cosa il loro presidente sta dicendo.


Una possibile strada da percorrere con altre potrebbe essere quella di realizzare tanti piccoli gruppi di lavoro sullo stesso tema e poi le idee e le proposte  vengono raccolte e raggruppate  e sintetizzate?
In pratica attuare il cosidetto E-town meeting che consente  di coniugare i vantaggi della discussione per piccoli gruppi, con quelli di un sondaggio rivolto ad un ampio pubblico?

Si e no, questo metodo sarebbe fantastico e ottimo, ma non risolve alcuni problemi, facciamo un esempio: se i presidenti che sono coloro che hanno maggior accesso alle informazioni discutono ore sull'argomento "si alla tesoreria o no alla tesoreria", se la formazione di base di chi è chiamato a decidere non è adeguato si rischia semplicemente, come è accaduto durante la riorganizzazione dello statuto "Scelli", che arrivino un milione di proposte di cui il 50% non compatibili con la realtà, il 30% non compatibili con la legge e il restante 20% non erano compatibili con la Croce Rossa.
Se chiamiamo a partecipare qualcuno che non ha letto neppure i 7 principi è, purtroppo, normale che rifischiamo di armare nuovamente un obbrobrio e poi di trovarsi nelle condizioni di sentirsi dire "no, quanto avete proposto non si può fare", cosa che poi crea ancora più frustrazione.
Sono molto scettico di strumenti che non  hanno strumenti su chi appoggiarsi.
Quanto tu proponi è il "non plus ultra", però sono convinto che la democrazia abbia bisogno di sforzi che sono anche sforzi culturali e conoscitivi.
La domanda ricorrente è da sempre "perchè non vengono fatti gruppi di lavoro?" mentre la domanda che non viene mai avanzata è "perchè non mettiamo i presidenti nelle condizioni di capire i vari argomenti?", oppure "perchè non vengono spiegate bene certe cose?".
In sintesi c'è un problema di conoscenza e di cultura 

E come sarebbe possibile a tuo avviso colmare questo gap?
Facendo cultura sul territorio, ricordando che cosa significa rispetto e informazione.
Non posso non rimanere inorrido se quando parla uno altri fischiano.
Mi rifiuto di entrare nel merito  delle conversazioni se il livello culturale (nel vero senso della parola, nel suo significato più intimo) dell'interlocutore non lo permette.

Se mentre il direttore generale, o chiunque, parla qualcuno "la manda al diavolo (NDR eufeminsmo )" cosa possiamo ottenere?

Un dissenso mal esposto che sfocia nello scontro?
No, non è un dissenso, ma solo un sentimento di "tutta pancia", non discuto le idee che  possono essere anche essere idee geniali, ma  così è solo "tutta pancia " senza un minimo di "testa".

Addirittura  gli unici emendamenti scritti,a mio avviso sensati, sono stati presentati dal presidente dell'Emilia Romagna e dal presidente del Piemonte   che come ultimi interventi hanno sostanzialmente detto "abbiamo parlato di cose che non erano il cocente e l'urgente" e  "c'erano cose più importanti da affrontare e ci siano occupati di altro" in queste sue sintesi è chiaro  il concetto che la partecipazione, la vera partecipazione, non è stata sufficiente.
La voglia di partecipare  può anche escludere: se non ci si trova in un ambiente realmente stimolante e stimolabile, tant'è che alle 15.00 metà dei presenti in sala si sono allontanati e i commenti che ho sentito sono stati del tipo "è meglio che esca, altrimenti qui facciamo a botte".

Flavio, mi dispiace di questa situazione

Bhè dispiace più a me che ho dovuto assistere a queste scene, ma non perchè chi parlava dicesse assurdità, ma perchè l'umore non è quello che mi sarei aspettato, perchè non è così che si fa partecipazione!!!
Non si mettono 300 persone in una sala e poi ognuno parla in questo modo, così "i più schiacciano i meno".
E poi ancora la preoccupazione dei numeri: sappiamo benissimo che la distribuzione dei comitati locali non è omogenea in tutto il territorio nazionale e quindi necessariamente la  rappresentatività  non è omogenea.
Cosa possiamo fare? 
i working group ai quali partecipano sempre gli stessi soggetti  scelti secondo  criteri che poi non sono sostenibili?così  questi saranno solamente strumenti utili a sostenere un'idea piuttosto che un'altra.

Qui c'è un problema di fondamenta  non c'è un problema di metodo.

Forse appaio un poco disfattistica ma per me le cose stanno così.

Credo che tu non sia disfattista, bensì stai puntando luce sulla realtà che percepisci, non disfattista quindi ma pragmatico.

Si, cerco solo di non prendermi in giro  e di non prendere in giro gli altri


Grazie Flavio dell'intervista della chiarezza e della trasparenza.
Cari amici della blogsfera , 
oggi non commento: sono senza parole anche io come voi.... rifletto e a domani.


 











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